Ero una giornata di primavera
aspettavo la domenica
e i giorni di festa,
per mettere il vestito buono,
quello a fiori
che passavano le cognate di
cugino in cugino.
Quello con la gonna
e i sandaletti nuovi,
che ti facevano
più signorina.
E la femminilità
era una scoperta,
una civetteria,
da mostrare davanti la chiesa
a messa finita.
Come formiche
a risalire i gradini della piazza
e seguire per le vie
il profumo del sugo buono
che ribolliva da ore.
E questa è una storia
spezzata a metà,
dalla codardia
di un uomo,
che d’una bambina
vanitosa,
ne ha fatto una poveretta
spaventata
dalla sua stessa forma;
una serpe avvelenata,
con la madre e il padre,
con le bugie e l’amore.
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Mi avevi riportata indietro nel tempo,
poi il finale…
… Mi ha spento il sorriso,
potere della penna!
Bravo.
Nunzia, grazie di cuore.