La solitudine di una scelta
fatta in silenzio,
dando l’impressione
di conoscere la direzione.
Ma tutto quello che ti serve
è un’altra storia,
un’altra infanzia,
un’altra vita.
M.
La solitudine di una scelta
fatta in silenzio,
dando l’impressione
di conoscere la direzione.
Ma tutto quello che ti serve
è un’altra storia,
un’altra infanzia,
un’altra vita.
M.
Rinascite
più simili a colpi di coda
di un pesce che cerca l’aria
sul legno umido
di un pontile al vento.
Quando per vivere
ha bisogno urgente
di Altrove.
M.
Lasciatemi andare
non fate di un mio cruccio,
il vostro più grande dolore.
Lasciatemi andare,
non fate di una mia domanda
un peccato di infedeltà.
Lasciatemi andare,
non fate di una mia debolezza
l’occasione per essere eroi.
Lasciatemi andare,
sono un sacco vuoto.
Vi ho già dato
tutto quello che avevo.
M.
Vipere tra i capelli
e fogli d’oro impalpabili,
zucchero dai datteri
e turchese e delizie.
Unguenti a rimpinguar
di odori la pelle ambrata
d’una regina, colta
tra i gretti e le lingue sporche.
E oggi lo smacco,
piange slavato e disperato.
Oggi l’eleganza si dimena,
e mugula e regredisce.
Gli inetti,
vigliacchi e luridi,
le hanno ammazzato
l’amore.
M.
Grazie, perché pensavo di avere quella malattia
delle anime condannate a scappare.
Grazie, perché pensavo non sarebbe più accaduto
che sarei voluta restare.
Grazie, che mi commuovo solo a pensarti,
grazie, che sento di aver toccato terra,
grazie, che mi fermo a riposare,
grazie, che la guerra è finita.
M.
Sbarra di luce sottile
guanti e rastrello, l’aria odora di salvia.
Un cesto di limoni, una camelia
su per le pareti gialle al Sole
una tazzina vuota,
col fondo di un caffè.
Due sorelle, il tenero impegno
in un religioso silenzio
di inizio primavera.
M.
Come un sasso liscio
sul sentiero. Un altro,
un altro.
“Plommm, plommm, plommm”
silenzio. Un cinguettio
carne magra dentro una vestaglia.
Silenzio, che pare vuoto.
“Stuk, stuk, stuk”
legno contro sasso.
Fruscio dell’acqua,
seta contro pelle.
Anche quest’anno
il loto è fiorito.
M.
Una penna fredda, degli appunti,
un tavolaccio in legno,una candela smorza,
su un piattino d’ottone.
Alambicchi, pentolacce
piedi nudi in ciabatte di pelle
e una vestaglia.
Un vasetto in cotto, con dentro un fiore
sul davanzale della finestrella
in pietra. Quadrata.
Le strade ricurve, i sanpietrini tondi
il fumo dei camini e le comari per le vie.
Attorno, la valle, la pace
le case in faccia al Sole
e alle nuvole grosse.
E’ un verde umido
profuma di biscotti e di incenso
come le vecchie, la domenica mattina.
M.
Un passero che becca in giardino
fa la primavera senza saperlo,
e la carrucola che aspetta i mattoni
si ristora al Sole debole
che pare una lucertola.
I cantieri sono vuoti
tra gli scheletri dei palazzi
vola la brezza salata del mattino.
E’ ora di svegliarsi,
i gabbiani passano sopra i tetti
verso il mare, il caprifoglio
si prepara ad esplodere,
il gatto stanco della notte
si acciambella per dormire.
M.
Vi racconto la storia
di una donna bambina
che aveva dieci anni
e pianse lacrime e colpe
e non seppe come nasconderlo
quel sangue amaro tra le cosce.
Vi racconto del suo segreto
e di quanto fosse abominevole
essere sempre la più alta,
la più muta, la più donna
che veniva voglia di nascondersi
tra le altre, ma era troppo l’ingombro.
Vi racconto di quel giocare silenzioso
che si barcamenava tra le bambole
e un fidanzato immaginario, di quanto
lo volle e di quanto si diede.
Vi racconto di un inganno,
di botte e calci tra i passanti
vuoti, veloci, assenti
e della vergogna per aver
chiesto in ginocchio
amore, amore ancora, ancora amore.
“Non ti faccio tenerezza?”
Vi racconto di quando mi sono raccolta,
e delle mie braccia di madre.
Vi racconto di quanto è stato brutto
e di quanto sarà bello
cogliere le differenze,
tra quello che verrà e quello
che non può tornare.
M.