Siete voi, che state male

giugno 6, 2015

La propensione della gente a trascinarti sul fondo, con le proprie cazzate.

Ed è difficile venirti a salvare, se tutti si concentrano sui loro problemi,

e se del tuo, quando non possono competere, se ne fanno protagonisti.

Così sorridi, taci, ignori per rassicurarli, che sono loro che stanno più male.

“Io sto bene, tu stai male”

E sono felici. Alle persone basta essere percepite infelici, per sentire di esistere,perché non sanno che darsi forma e dignità che attraverso il dolore.Io sto bene. Ho solo paura delle recidive. Probabilmente ne avrò paura per tutta la vita.Ma come si fa a spiegare questo senso di “sorpresa” continua, come si fa a fermarlo?

E poi perché? Per lamentarmi? Io non sono come loro.Io vado a correre, mangio schifezze, poi me ne pento. Poi rimedio e sto attenta. Dovrei stare attenta anche all’alcol, dicono non faccia bene in questi casi, ma il sabato sera ho il mio cocktail preferito e il momento dell’aperitivo non mi dispiace. Dovrei andare a correre con delle magliette rosa, ma preferisco donare alla ricerca attraverso canali diversi da Komen e correre per i fatti miei sulla spiaggia. Sono una persona normale, che il più delle volte passa pure inosservata. Sono ingiusta, poco paziente, a volte anche poco gentile. Non faccio tenerezza neanche al mio gatto e m’hanno cresciuto con “c’è sempre chi sta peggio di te”. Sono abituata a prendermi cura delle reazioni altrui e degli effetti dei Miei problemi sugli altri e non sopporto chi sventola i propri, alla pura e patetica ricerca della compassione, senza preoccuparsi di chi ha intorno. Lo trovo tremendamente egoista. E’ per questo che non vado molto d’accordo con chi sale sulla sedia con una corona di neon ed effetti speciali e comincia con la propria tragedia.

Spero sempre di crescere e di portarmela meglio addosso, la mia dignità.


Marzo, 15

marzo 15, 2015

Vipere tra i capelli
e fogli d’oro impalpabili,
zucchero dai datteri
e turchese e delizie.

Unguenti a rimpinguar
di odori la pelle ambrata
d’una regina, colta
tra i gretti e le lingue sporche.

E oggi lo smacco,
piange slavato e disperato.
Oggi l’eleganza si dimena,
e mugula e regredisce.
Gli inetti,
vigliacchi e luridi,
le hanno ammazzato
l’amore.

M.

The Death of Cleopatra


Il tradimento perfetto, U. Galimberti

marzo 11, 2015

Se il tradimento non è solo un esercizio di sessualità a bassa definizione, io penso che abbia una sua dignità e soprattutto che non debba essere giudicato da figli adulti che, nel condannarlo, pensano di più alla loro quiete perduta che al percorso anche drammatico in cui chiunque di noi, a un certo punto della sua vita, può venirsi a trovare. Tradire un amore, tradire un amico, tradire un’idea, tradire un partito, tradire persino la patria significa infatti svincolarsi da un’appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario, e quindi in un certo senso più autentica e vera. Nasciamo infatti nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se non ne restiamo prigionieri, se a coloro che per primi ci hanno amato e a tutti quelli che dopo di loro sono venuti, un giorno sappiamo dire: “Non sono come tu mi vuoi”. C’è infatti in ogni amore, da quello dei genitori, dei mariti, delle mogli, degli amici, degli amanti a quello delle idee e delle cause che abbiamo sposato, una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi solo all’interno di quel recinto che è la fedeltà che non dobbiamo tradire. Ma in ogni fedeltà che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c’è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze, troppa incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d’ombra. Eppure senza questo profilo d’ombra, quella che puerilmente chiamano “fedeltà” è l’incapacità di abbandonare lidi protetti, di uscire a briglia sciolta e a proprio rischio verso le regioni sconosciute della vita che si offrono solo a quanti sanno dire per davvero “addio”. E in ogni addio c’è lo stigma del tradimento e insieme dell’emancipazione.
C’è il lato oscuro della fedeltà che però è anche ciò che le conferisce il suo significato e che la rende possibile. Fedeltà e tradimento devono infatti l’una all’altro la densità del loro essere che emancipa non solo il traditore ma anche il tradito, risvegliando l’un l’altro dal loro sonno e dalla loro pigrizia emancipativa impropriamente scambiata per “amore”. Gioco di prestigio di parole per confondere le carte e barare al gioco della vita. Il traditore di solito queste cose le sa, meno il tradito che, quando non si rifugia nella vendetta, nel cinismo, nella negazione o nella scelta paranoide, finisce per consegnarsi a quel tradimento di sé che è la svalutazione di se stesso per non essere più amato dall’altro, senza così accorgersi che allora, nel tempo della fedeltà, la sua identità era solo un dono dell’altro. Tradendolo l’altro lo consegna a se stesso, e niente impedisce di dire a tutti coloro che si sentono traditi che forse un giorno hanno scelto chi li avrebbe traditi per poter incontrare se stessi, come un giorno Gesù scelse Giuda per incontrare il suo destino. Sembra infatti che la legge della vita sia scritta più nel segno del tradimento che in quello della fedeltà, forse perché la vita preferisce di più chi ha incontrato se stesso e sa chi davvero è, rispetto a chi ha evitato di farlo per stare rannicchiato in un’area protetta dove il camuffamento dei nomi fa chiamare fedeltà e amore quello che in realtà è insicurezza o addirittura rifiuto di sapere chi davvero si è, per il terrore di incontrare se stessi, un giorno almeno, prima di morire, con il rischio di non essere mai davvero nati.


Come scrivere un libro

febbraio 7, 2015

“Marianna, come si scrive un libro?” La colazione con mia mamma è cominciata così. E ci si commuove davanti a una domanda del genere. Ci si commuove davanti a questa “dolce ignoranza” di pensare che io sappia come si scrive un libro; davanti a chi si propone di esplorare le parole, senza chiedersi se è tardi. Ci si commuove per forza, al cospetto di un gigante che si vede piccolo ai piedi di un Olimpo. Ma che piccola e piccola? Non ha idea di quanto mi ci senta io, davanti a lei. E no, non è tardi: sei in tempo per tutto. Siamo sempre in tempo per tutto.

Tentava la vostra mano la tastiera,
i vostri occhi leggevano sul foglio
gl’impossibili segni; e franto era
ogni accordo come una voce di cordoglio.

Compresi che tutto, intorno, s’inteneriva
in vedervi inceppata inerme ignara
del linguaggio più vostro: ne bruiva
oltre i vetri socchiusi la marina chiara.

Passò nel riquadro azzurro una fugace danza
di farfalle; una fronda si scrollò nel sole.
Nessuna cosa prossima trovava le sue parole,
ed era mia, era nostra, la vostra dolce ignoranza.

(Eugenio Montale)


Esegesi di una bugiarda

agosto 10, 2014

Per una come me, la sincerità va conquistata.

Mi sono trovata un sacco di volte davanti a gente che ti chiedeva di dirgli quello che si voleva sentir dire: fidanzati, amici.

“Ti è piaciuto?” Si, da morire.

“Secondo te mi ama?” Si, da morire.

Fino a nasconderti e a morirne tu stessa, sotto le tue bugie.

La gente ti manda un messaggio preciso: se mi dici quello che pensi, mi fai male. Quindi per favore, fingiti quello che non sei e fammi felice. In estrema sintesi…fammi felice: fatti infelice! Le persone che non accettano quello che penso, non accettano me.

Ho nascosto di me, quel che non volevi sapere

Ho strappato via lingua, occhi, stomaco,

nella cieca speranza che un giorno

me lì avresti richiesti indietro.

 

C’è chi vuole sentirsi raccontare la favola di quanto sia forte e saldo, c’è chi vuole sentirsi raccontare la favola di quanto sia unico e indispensabile. C’è chi si piange addosso e si scredita per essere continuamente rassicurato. C’è chi ti chiede un parere e se è diverso dal suo salta dalla sedia. C’è chi insiste fino a che non ti arrendi e gli dai ragione. E tu stai lì a pensare al benessere altrui, ignorando il tuo. “In fondo io posso farne a meno”. “Che mi costa?” Sempre prima gli altri, con le loro insicurezze e le loro pretese sceme. Tanto io posso reggere.

Ho scelto di tacere

ché sei cosa delicata,

contro la mia prua

di nave merci

per oceani senza isole.

 

Ma col tempo, ho imparato che non è un mio problema. E si fa una gran fatica a mantenersi felici. Bisogna sempre tenere a mente che dove gli altri non arrivano a capire è un problema loro. Che quello che di noi non accolgono, o non accettano, è un problema loro. Dobbiamo sempre ricordare di definirci agli occhi degli altri. Guarda, io la penso così. Sai, l’altra volta ci sono rimasta male per questa cosa. Mi sarebbe piaciuto che… In serenità. Semplicemente per portarci il rispetto che meritiamo e per dire al mondo: “io sono così”. E’ allora che accade una cosa bellissima: ci guardiamo allo specchio con simpatia e affetto, ci perdoniamo e ci sentiamo migliori.  Senza contare la consapevolezza che ci ha scelto, lo ha fatto esattamente per quello che siamo. Niente finzioni. Niente orpelli. Niente silenzi. Niente contentini. Niente fatiche. Niente frustrazioni. Niente rabbia verso noi stessi. Niente insicurezza. Niente risentimento verso chi abbiamo davanti. Niente gabbia.

Gabbia.

Tre anni fa raccontavo alla dott.ssa che inizialmente con G. ero felice anche in un pub scalcinato. Poi ho cominciato ad essere felice ogni volta che partivamo. Fino a che, ovunque andassimo, mi sentivo un macigno sul petto. Letteralmente. Affanno. Tristezza infinita. Voglia di scappare. Ero in un posto e volevo essere altrove. Ero altrove e un attimo dopo, volevo andare via. Dopo un po’, ho cominciato a capire  che la gabbia nella quale mi ero chiusa come un pollo da batteria, erano le sue aspettative, le sue speranze, la donna che voleva affianco a sé e che non ero io, ma alla quale ho fatto di tutto per somigliare. C’ho messo tanto per capire che non è colpa di nessuno. Che è una semplice e normalissima questione di compatibilità. L’amore è una cosa semplice (giuro che non è per citare TZN, anche se a dispetto della snob di merda che sono sempre stata, comincio ad ascoltarlo volentieri). Noi insieme non potevamo funzionare perché volevamo cose diverse: gli Abbagnale che remano per versi opposti. Per forza che la canoa sta ferma!

Che è rimasto?! L’affetto. E la serena consapevolezza che è stata la cosa più importante che ha toccato la mia vita amorosa. E sono felice di riconoscerlo. Se adesso mi chiamasse perché serve un aiuto serio, perché c’è un’emergenza, o serve aiuto alla moglie, io correrei da loro. A questa serenità ci arrivi, quando hai la prova provata che non era cosa e quando ti liberi dai sensi di colpa.

A un certo punto mi sono sentita come un pesce che finalmente ricade in mare. Respiro. Per tre anni non ho voluto sapere di nessuna relazione che fosse realmente possibile.  Che potesse durare più di un viaggio in treno. Che potesse minimamente pormi nell’ordine di idee di rimettere sul tavolo le mie cose, ricominciare tutto da capo, spiegare, spiegarsi, raccontarsi.

Poi tu e l’unica promessa che ci siamo scambiati, la più importante: quella di essere reali.

E’ come imparare a camminare.

Tremendamente bello. Eccitante. Un po’ spaventevole. Nuovo. Nuova anche io. E felice.

 

 


Quanto il mondo

Maggio 12, 2014

A parte il turbinio di emozioni, volevo dirvi che se vi fa piacere su amazon, potrete acquistare on-line un volume della serie “Impronte” (Ed. Pagine) in cui ci sono alcune delle mie poesie più belle.

Per il resto, vi lascio con una canzone.


“Allora ci penso io”

aprile 15, 2014

Ieri sono andata dalla dott.ssa.
Abbiamo ripreso un gioco,
perché non sempre riesco ad individuare quello che voglio io per me.
Spesso i figli sono così pieni di gratitudine e colpa verso i propri genitori,
ca confondere i loro desideri con i propri.
Allora io l’ho immaginata la mia casa.
Piccola, anche in affitto, ma luminosa e con un piccolo terrazzo da godersi le sere d’estate.
O magari un giardino. Con tutte le mie piante aromatiche e magari un’amaca.
Poi mi sono guardata indietro e mi sono accorta che sono passata dal desiderare un compagno, matrimonio, figli
(rigorosamente in quest’ordine) a questa casetta, con dentro un gatto nero.
“Perché nero?”
“Perché non lo vuole nessuno, allora ci penso io”.
Poi mi ha detto di immaginare dentro quella casa che adesso mi somigliava, gli uomini della mia vita.
Nessuno di loro stava bene là dentro. C’è chi non l’avrebbe apprezzata la mia casetta, c’è chi stonava del tutto.
Poi mi ha detto: ora immagina una persona che potrebbe stare nella tua casa.
Allora l’ho fatto ed era completamente diverso da tutto quello che ho avuto fin ora.
Abbiamo dilazionato le sedute.
Ora sono ogni tre settimane.
Ho cominciato a Maggio 2011 tutte le santissime settimane.
Ora siamo ad Aprile 2014 e stiamo per chiudere questo capitolo della mia vita.
Dice che sono un’altra persona.
E io mi sento come la bella copia di tutto quello che sono stata fin ora.
Chiedetemelo ora, se sono felice.


Ora posso dirmi d’averti amato

marzo 28, 2014

Ora posso riposare, sedermi nella mia pace
e ricordare delle cose belle.
Come quella volta che in Ospedale,
mi hai poggiata sul bidet,
ch’ero malata di cancro.
L’acqua lavava via il sangue primitivo,
mentre tu lavavi me.

Immerso nel tuo compito.
Attento alle tue mani grandi,
come mai lo erano state
contro il mio sesso piccolo.
Operoso. Silenzioso.
Come un marito attorno alla sua regina.

Non quella volta a casa dei miei,
ma in quel giorno,
in quel bagno tu diventasti uomo.
Ti tacevo la mia ingratitudine,
nell’unico istante
in cui io t’abbia mai amato.


E’ grazie a mio padre

marzo 19, 2014

E’ grazie a mio padre,

se ascolto una canzone

e ricordo di lui,

che abbraccia una chitarra,

invece che dell’amore

che mai mi conobbe.

Chino

l’orecchio teso sull’acero

a coglier miele

e botte e fughe scapestrate

di ore lente a masticare il tabacco

e a cogliere il mirto.

Le corse tra i sassi e le pietre spaccate

e la fuga pentita per il Continente,

ché la barba era ancora la bestemmia

che un giorno da quel seme

si sarebbe fatto Uomo.


“Feconda una donna ogni volta che l’ami…”

marzo 12, 2014

Jack Vettriano

“Non commettere atti che non siano puri
cioè non disperdere il seme.
Feconda una donna ogni volta che l’ami
così sarai uomo di fede:

Poi la voglia svanisce e il figlio rimane
e tanti ne uccide la fame.
Io, forse, ho confuso il piacere e l’amore:
ma non ho creato dolore.”

( da Il testamento di Tito, F. De André)

…o feconda, col pretesto d’amare.